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 LE RELIGIONI E L'ALTRO
D
avanti a Dio. La preghiera nelle tre grandi religioni monoteiste.
Il libro è disponibile presso le ACLI di Bergamo.
Costo 5 euro. Info e richieste: aclibergamo@acliservicebergamo.it 

 Pregare da cristiani.
Il primo incontro, dedicato alla preghiera cristiana, è stato condotto dal Prof. Virgilio Melchiorre, docente di filosofia presso l’Università Cattolica di Milano. Egli ha presentato e commentato un video con una testimonianza di padre David Maria Turoldo. Il video è un’intervista realizzata dal Prof. Melchiorre nel 1991: il filmato era destinato ad essere proiettato in pubblico, durante una conferenza alla quale padre Turoldo, invitato come relatore, non avrebbe potuto partecipare perché già gravemente prostrato dalla malattia. La testimonianza di padre Turoldo è intensa e pulsante. Egli si esprime non solo con le parole, ma con tutta la sua persona, fisicamente: infatti esordisce con un tono quasi al limite del pianto, confidando il dolore che la malattia provoca in lui ma, procedendo nell’intervista, si anima via via di una gioia luminosa mentre approfondisce il vero senso della preghiera. Che non è presentare richieste a Dio perché le esaudisca o chiedergli qualcosa per il nostro bene: Dio sa di che cosa abbiamo bisogno. Pregare è altro. Pregare è entrare in contatto con Dio, riconoscersi davanti a Lui come creature, adorarlo e glorificarlo nel creato, amarlo nei fratelli. Nell’atto stesso della creazione, spiega padre Turoldo, l’uomo scopre in sé tre dimensioni: quella cosmica (creato dalla terra), quella comunitaria (non da solo) e quella divina (a immagine di Dio). In questa prospettiva l’uomo diviene "riassunto" del creato, essere in continua relazione con gli altri, ponte fra il mondo e Dio. La preghiera altro non è che il compiersi della missione connaturata a tale uomo: glorificare Dio nel creato e riportare il creato a Dio. Nel doppio movimento di immersio in se stesso e di elevatio verso Dio l’uomo si fa orante, si apre al mondo e ai fratelli. La preghiera diviene lode e rendimento di grazie a Dio. Padre Turoldo ama esprimersi con metafore e immagini. E se le pratiche di pietà sono la legna, utile ma da impiegare con moderazione, che alimenta il fuoco autentico della preghiera, quest’ultima è una moneta preziosa che ai nostri giorni viene gravemente sciupata. Non si è più capaci di cercare, rispettare, amare Dio in ciò che ci circonda. È necessario mettersi di fronte a Dio in silenzio, per ritrovare la Sua voce e riconoscere la Sua presenza nel creato. È necessario imparare ad ascoltare, anziché chiedere, perché la preghiera è essenzialmente ascolto. Padre Turoldo si anima poi in un’acuta provocazione affermando che non va sottovalutato il potere della preghiera. L’uomo orante è il più audace e il più pericoloso di tutti proprio perché si unisce a Dio e porta la Sua volontà nel mondo. Di fronte alla domanda dell’intervistatore, che riecheggia la frase evangelica "Insegnaci a pregare", Turoldo ricorda il Padre Nostro e i Salmi, espressione universale dello spirito di chi prega. Sollecitato dal prof. Melchiorre, il frate - poeta conclude la sua testimonianza con la lettura di alcuni suoi versi, che esprimono bene il senso di una preghiera che è vita, canto, ascolto: "Tempo è di tornare poveri/ per ritrovare il sapore del pane/ per reggere alla luce del sole/ per varcare sereni la notte/ e cantare la sete della cerva./ E la gente, l’umile gente/ abbia ancora chi l’ascolta/ e trovino udienza le preghiere./ E non chiedere nulla".

Pregare da ebrei.
Il martedì successivo nel Salone di Via Torino è stato proiettato un video con un’intervista all’attore e regista Moni Ovadia sulla preghiera ebraica. In un secondo momento Luciano Caro, rabbino - capo della comunità ebraica di Ferrara, presente in sala, ha raccolto le intuizioni di Moni Ovadia formulando una rapida ma puntuale descriptio della preghiera ebraica. Nell’intervista, realizzata appositamente per il nostro incontro, Moni Ovadia esordisce precisando subito di non definirsi un ebreo credente – benché frequenti abitualmente la sinagoga – perché "per il senso comune quest’espressione ha un valore troppo clericale, quasi definisse un uomo che possiede precise certezze su Dio e il senso della vita". Egli, piuttosto, concepisce la pratica religiosa come una riflessione esistenziale che trasforma la sopravvivenza in vita e permette la crescita dell’uomo. "Nella sinagoga, come si prega, così si mangia, si beve, si festeggia. Durante lo shabbath, il rabbino commenta con battute ironiche gli eventi della settimana trascorsa. La vita pulsa, finalmente sottratta al rumore di fondo della quotidianità, al normale orrore della televisione: a questo dovrebbe servire la preghiera". Ricorre in Moni Ovadia l’idea che come si prega si vive. L’ebraismo muove da una formidabile tensione etica che precede ogni confessione religiosa: essa è essenzialmente anti - idolatria, divieto di sottomettersi a dei feticci, compresi il potere e il denaro, in nome della stessa libertà dell’essere umano. Il precetto "Ama il prossimo tuo come te stesso" (che acutamente il filosofo contemporaneo Emmanuel Lèvinas traduce: "Ama il prossimo tuo: è te stesso") diviene il fondamento di una religiosità che invita alla fraternità, nella convinzione che "l’essenziale non è che l’uomo creda in Dio, quanto che creda nell’altro uomo (il che è assai più impegnativo)". Il rabbino Luciano Caro ha ripreso il dialogo in sala a partire da alcuni chiarimenti sul concetto di Tefillah, la preghiera ebraica. Il termine ha la radice del verbo "giudicare" ed esprime l’originario istinto dell’uomo di rivolgersi a Dio per protestare, facendo un atto d’accusa quando sente di avere subito un’ingiustizia. Il pregare assume in seguito nel popolo ebraico una sua ritualità. Per gli Ebrei la preghiera accompagna ogni momento della vita quotidiana e pone l’uomo in una relazione continua con Dio sia nell’aspetto individuale che comunitario. Attraverso la recita di brevi formule l’uomo che gode di un qualche bene ringrazia Dio. Ogni occasione di preghiera diviene sacrificio a Dio del proprio tempo, che è patrimonio prezioso. Fra le preghiere obbligatorie ha forte rilievo la recita delle diciannove benedizioni che esaltano le qualità di Dio, proferite in piedi, individualmente o in comunità. Nella preghiera ebraica ha un ruolo essenziale la pronuncia corretta della singola parola che ha valore mistico e creativo e, pertanto, va rispettata in ogni minima intonazione. Infine, una preghiera che è lotta all’idolatria e memoria della storia assume, anche per il rabbino, la sua autentica dimensione solo se messa in relazione all’amore per il prossimo. Così la preghiera dell’ignorante che recita ripetutamente le prime lettere dell’alfabeto può trovare udienza presso Dio più che quella del dotto sacerdote.

Pregare da musulmani.
L’ultimo incontro del trittico sulla preghiera ha avuto come relatore Adallah Kabakebbji, presidente dei giovani musulmani d’Italia. Col suo intervento, ricco quanto atteso, egli ha illustrato in modo dettagliato le caratteristiche della preghiera dell’Islam e le pratiche con cui si esplica. "Parlare della preghiera con dei fratelli credenti - un argomento vicino all’attualità, concreto anche se non palpabile, che ci fa guardare dentro e mettere in contatto con il nostro creatore - è un avvenimento eccezionale". Dopo questa premessa, Adallah è entrato subito nel vivo del tema: nell’Islam la preghiera è il secondo dei cinque pilastri della religione e ricorre continuamente nella vita dei musulmani. Pregare significa porsi davanti a Dio, con cui realizzare quel dialogo spirituale che, assieme al dialogo interiore (con se stessi) e intersociale (con gli altri), caratterizza la natura umana. Il concetto di dialogo si precisa in una serie di aggettivi: diretto, intimo, segreto e personale. Diretto, perché avviene senza intermediari; intimo, perché è un’azione di cuore suscitata da una scelta libera e consapevole; segreto, perché nasce da una relazione esclusiva fra l’uomo e Dio; personale, perché relativo alla percezione soggettiva che ogni uomo ha di Dio nelle diverse situazioni della vita. I novantanove nomi di Dio esprimono bene le molte qualità, e non solo gli appellativi, di un Dio adatto a ogni uomo, in ogni contesto. Diviene a questo punto importante chiarire le modalità e i tempi della preghiera musulmana. "L’adorazione rituale è qualcosa che Dio ci chiede espressamente in base a modalità definite". Di qui la scansione rituale dei gesti e delle formule con cui ogni musulmano prega cinque volte al giorno. La ripetitività dell’adorazione genera un continuum (individuale e "cosmico") per cui l’umanità si trova ininterrottamente in rapporto con Dio. "In ogni momento sulla terra c’è qualcuno che prega Dio in riferimento alla posizione del Sole". Proprio i gesti che si compiono durante la preghiera ne rivelano il significato di fondo. Con la pulizia del viso e del corpo l’uomo si prepara a un rito che è essenzialmente di purificazione. La preghiera è valida solo se purifica da ciò che è male, e ha perciò un riscontro immediato nel comportamento: chi prega bene opera successivamente il bene. Le quattro posizioni introducono gradualmente l’uomo nella dimensione della preghiera. "Durante l’adorazione avviene come una fuga dal mondo, una piccola vacanza che permette di ripartire più tranquilli perché certi dell’amore di Dio". L’uomo stando in piedi si prepara a distaccarsi dal mondo, si concentra su ciò che sta facendo affidandosi a Dio. La posizione china e la prostrazione manifestano la volontà di glorificare, adorare e ringraziare Dio. Il piegarsi con la fronte fino a terra ricorda all’uomo l’umiltà. In questa prospettiva la preghiera diventa educazione alla vita, incontro con Dio che fa crescere nell’amore, nell’umiltà e nella forza. L’uomo che prega risponde all’invito che Dio gli rivolge con amore: chiedere in continuazione e con insistenza.