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 SIFRA E PUA

 Il testo
 
<<Allora sorse sull'Egitto un nuovo re.  E disse al suo popolo: <Ecco che il popolo dei figli d'Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti>.  Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e  si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d'Israele.  Allora il re d'Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l'altra Pua: <Quando assistete al parto delle donne ebree: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere>. Ma le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d'Egitto e lasciarono vivere i bambini. Il re d'Egitto chiamò le levatrici e disse loro: <Perché avete lasciato vivere i bambini?>. Le levatrici risposero al faraone: <Le donne ebree non sono come le egiziane: sono piene di vitalità: prima che arrivi presso di loro la levatrice, hanno gia partorito!>. Dio beneficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio, egli diede loro una numerosa famiglia>>. (Esodo 1, 8-21)

 Per comprendere il testo

·                    Nella memoria di Israele e, più tardi, del cristianesimo, l’Esodo (liberazione - uscire - essere tirati fuori) si conferma come l’evento fondante di tutto: il credo, la morale, il culto, l’esortazione, la preghiera. Evento che non resta solo un codice interpretativo di tutti gli eventi, ma diventa anche forza generatrice che modella tutti gli eventi pubblici e individuali: lavoro, malattia, morte, pellegrinaggi, persecuzione, politica.

·                    I capitoli 1 e 2 svolgono il ruolo di prologo a tutto il libro dell’Esodo. La storia delle due levatrici serve a preparare il lettore ad inserire la salvezza di Mosè dalle acque, all’interno della salvezza popolare.

·                    Forse non è verosimile storicamente la moltiplicazione demografica degli israeliti in Egitto che, di fatto, costituivano una minoranza. L’annotazione narrativa è volutamente iperbolica ed esagerata, ma solo per dire che Dio, fin dai tempi antichi preferisce e fa prosperare imprevedibilmente le minoranze, gli ultimi arrivati, i meno forti,  i poveri. Gli israeliti sono in pochi, ma costituiscono una presenza straniera inquietante. Si devono perciò prendere misure cautelative. Invece di cacciarli, il faraone se ne serve progettando, simultaneamente, un indebolimento della potenzialità  guerriera, politica ed auto-organizzativa. I maschi servivano per questo. Sembra la storia di oggi con i nostri extracomunitari.

·                    Le levatrici «hanno il timore di Dio»: è una espressione biblica a cui non si darà mai sufficientemente importanza anche se un po’ lontana dal nostro linguaggio e dalla nostra esperienza religiosa. Significa non solo un atteggiamento di estremo rispetto religioso davanti al mistero,  ma anche attenzione nell’interpretare la volontà di Dio qui e ora, esercitando un discernimento nella semplicità e nella astuzia. La storia del «primo salvato», Mosè, così come verrà narrata nel capitolo 2, qui viene preannunciata: inizia la storia dei salvati attraverso la collaborazione consapevole o inconsapevole dell’uomo. Paolo dirà ai Corinti: «Ciò che è debole...ciò che è “senza nascita” e che si disprezza, ecco quello che Dio ha scelto» (1 Cor. 1, 27-28).  Questa logica viene tenuta a battesimo da due professioniste della nascita: le levatrici. Anche per Mosè ci saranno altre donne (madre, sorella, figlia del faraone) che con tenerezza e astuzia daranno una mano al progetto di Dio.

·                    Le levatrici si sottraggono alla pesante complicità che il potere politico chiede a loro di esercitare; si avvalgono della obiezione di coscienza. Si tirano fuori dall’anonimato ed evitano di lasciarsi condizionare dal potere («non fecero quello che il faraone aveva loro detto») e lo fanno con una intelligente bugia («le donne ebree sono forti e partoriscono senza di noi»). Un non-fare che è già un fare, una disobbedienza che è resistenza. Finta ingenuità, determinazione ferma, arrendevolezza apparente. Sifra e Pua, astute come serpenti e semplici come colombe (Mt. 10,16).

 LA COSCIENZA DELL’OBIEZIONE[1]

Uno degli atteggiamenti di fondo presenti nell'Antico e nel Nuovo Testamento è quello che potremmo definire «critica o disaccordo».  Si può affermare che il senso dell'obiezione, inteso come contestazione o anticonformismo, è un fatto costitutivo della tradizione biblica.  Un esempio concreto di protesta e di obiezione è offerto dal più passionale dei profeti, Geremia.

·        Obiezione contro idolatria e imperialismo esterno.

Il primo bersaglio della sua contestazione sono i popoli pagani, condannati non solo per la loro idolatria e immoralità, ma anche per l'imperialismo aggressivo, con riferimento specifico a Babilonia e alla politica di conquista di Nabucodonosor.  Il profeta, il ministro della spiritualità, è profondamente calato nella realtà politica concreta e non limita il suo ministero alla cura delle anime: nella Bibbia infatti la politica è un fatto umano, etico e religioso e come tale riveste una primaria importanza nell'ambito della missione profetica.

Ma un atteggiamento critico, nei confronti dell’imperialismo pagano, non può non trovare approvazione e sostegno all'interno, in quanto diretto verso l'esterno, In tale ottica, Geremia avrebbe potuto diventare un eroe nazionale, il difensore della libertà del popolo contro l'impero invasore.

·        Obiezione interna contro popolo, re e tempio.

La prospettiva è invece completamente ribaltata se la critica viene diretta all'interno e ha come bersaglio il re, e il popolo eletto da Dio. (Ger. 22, 13-19). Un ulteriore esempio ci è offerto dal celebre discorso capitolo 7, anch'esso rivolto al popolo e particolarmente e violento, perché pronunciato nel tempio.  Il tempio, da luogo del sacrificio ora si trasforma in «cassa di risonanza» della parola di Dio, anche questa volta di condanna e esecrazione. (Cap.7, 5-15):  «Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore! Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà: rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal. Poi venite e vi presentate alla mia presenza in questo tempio e dite: Siamo salvi! Forse è una spelonca di ladri ai vostri occhi questo tempio che prende il nome da me?»

L'obiezione è lampante: non basta che il Popolo sia eletto da Dio, né che il tempio sia la dimora di Dio. Geremia scaglia con forza (ob-iectio deriva dal lemma latino “iacio” cioè scagliare) la pietra nello stagno delle false sicurezze, delle pretese e delle illusioni: e la pietra che scaglia è la Parola di Dio che è al di sopra di tutto, anche delle Istituzioni (Deuter. 17 e 18).

Se Geremia fa la denuncia contro i pagani non poteva che trovare favore presso il popolo d’Israele. Quella invece fatta nei confronti del popolo stesso e dei suo sovrano - l'unto di Dio - può essere molto pericolosa per il profeta fino a mettere a repentaglio la sua stessa vita. Se la sua parola è scomoda si cerca di annullare la parola o addirittura il profeta stesso.In Ger. 36 è rappresentata bene questa situazione: il re fa bruciare il rotolo dettato da Geremia e scritto dal segretario Baruc. E Geremia ricomincia la dettatura. Poi un altro re cercherà di uccidere Geremia, accusato di demoralizzare il popolo perché lo esorta ad arrendersi a Nabucodonosor e ad accettare l’occupazione straniera come castigo di Dio (Ger. 38, 1-6).

In questa predicazione contro il re e contro il popolo qual è l’atteggiamento di Geremia?  Non è un atteggiamento di superiorità, di rinnegamento del popolo maledetto, ma di una profonda, lancinante e sofferta solidarietà con il suo popolo.  L'unico modo di esercitare cristianamente l'obiezione, è farlo dall'interno, come parte in causa. Per questo il profeta è per tradizione colui che intercede, il mediatore, quello che non solo porta al popolo la Parola di Dio, ma a Dio la preghiera del popolo. 

·        Obiezione contro Dio.

L’obiezione dunque è rivolta, non solo l’imperialismo pagano, non solo contro le autorità del popolo, non solo contro il popolo, ma anche verso Dio. Nel famoso capitolo 20 Geremia quasi bestemmia contro Dio per averlo chiamato dentro una situazione insostenibile. E’ un interrogativo che è anche quello dei credenti di oggi quando si chiedono se davvero la spiritualità cristiana significhi rassegnazione passiva alla volontà di Dio. Anche Abramo si era opposto alla decisione di Dio di distruggere Sodoma e Gomorra: mercanteggia, difende, intercede, si oppone. Ma l’esempio più chiaro è Giacobbe che lotta con Dio. Siamo di fronte a quella che si può definire  «spiritualità dell’obiezione», che rende l'uomo capace di entrare in un rapporto più profondo con se stesso, con altri, con Dio.

 Il libro della vita

1.       Che senso ha, oggi, la coscienza dell'obiezione?  Nella società in cui viviamo, una delle violenze a cui siamo sottoposti è quella di venir neutralizzati letargicamente, ovvero di essere così imbevuti della cultura del benessere e del consumismo da non riuscire più a sviluppare capacità di protesta e di obiezione. Oltre a questo, esiste ancora il metodo dell’eliminazione fisica di chi parla e di chi obietta, come è accaduto, per esempio, a tanti religiosi e laici trucidati sotto dittature e governi militari. Ma dobbiamo attenzione a un tipo di minaccia più sottile ma ugualmente pericolosa: quella di un appiattimento generale, da un lato, e dall’altro lato quella che fa scaricare tutto su un capro espiatorio.  Anche l'autorità della Chiesa può ricorrere a questi meccanismi per mettere a tacere le voci scomode, per addormentare coscienze e impedire loro di obiettare.  E’ importante lasciar spazio a quella obiezione che non nasce dall'amarezza, ma dall'amore e dalla solidarietà. Riferendoci al nostro racconto iniziale di Sifra e Pua riconosciamo che un’obiezione di coscienza ha salvaguardato il cammino della storia della salvezza.

2.       Perchè nei gruppi cristiani è calato il silenzio sulla politica, la si snobba, la si lascia ai partiti (magari cattolici!)? Cosa si potrebbe fare per formare i laici battezzati alla partecipazione solidale e critica alla vita politica? Come vivere con astuzia e semplicità i valori evangelici nella città?

Per approfondire

La Commissione Episcopale per i problemi sociali e del lavoro della CEI aveva diffuso nel 1989 una lettera  pastorale «La formazione all’impegno sociale e politico». Nel 1998 riprende e sviluppa quella Nota con «Le comunità cristiane educano al sociale e al politico»: <<Il Concilio Vaticano II° ha indicato la strada: <La missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà terrene con lo spirito evangelico> (AA, 5). Nell’enciclica Centesimus annus Giovanni Paolo II° indica che la dottrina sociale della Chiesa <fa parte essenziale del messaggio cristiano perchè tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società>. E’ dunque patrimonio ecclesiale la coscienza di dover educare al sociale e al politico e le comunità cristiane devono sentirlo come loro compito, pena una evangelizzazione monca. Giudicare marginale questa formazione rivela un grave ritardo di mentalità e di prospettive pastorali. Il magistero della Chiesa toglie ogni alibi affermando che <il non facile periodo attuale di transizione sollecita la nostra progettualità pastorale ad inserire l’educazione all’impegno sociale e politico nella catechesi ordinaria dei giovani e degli adulti>(Con il dono della carità dentro la storia, n.31). Per una evangelizzazione integrale occorre educare alla dimensione socio-politica, cristiani che sappiano essere cittadini consapevoli ed attivi, che sul territorio facciano la loro parte e non subiscano passivamente gli avvenimenti; lavoratori coscienti e non solo dipendenti; intellettuali che non vivano le loro competenze chiusi nelle élite culturali; politici non più maestri di tattiche e strategie estranee alla gente. La sfida non è rivolta a qualche addetto ai lavori o a gruppi con sensibilità particolari, ma è compito di tutta la Chiesa e di tutte le Chiese. Una spiritualità che renda possibile la santificazione dei laici non “nonostante”, ma “attraverso” l’impegno nelle realtà del mondo>>.


[1] Luis Alonso Schökel “Lezioni sulla Bibbia” PIEMME