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In casa di Simone
di don Angelo Casati
 

Il nostro brano di vangelo appartiene al capitolo settimo del racconto di Luca. Ebbene al cuore di questo capitolo c'è una domanda. La domanda è di Giovanni;il Battista, che dal carcere manda una delegazione a chiedere: "Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?" E Gesù dà i segni di riconoscimento, sono i segni della compassione verso le infermità degli umani. Ma alla fine aggiunge: "Beato è colui che non si scandalizza in me". È come se Gesù riconoscesse che nella sua modalità "di essere Messia" c'è un fattore imprescindibile di scandalo. È uno che scandalizza. "Evita gli scandali" gli suggerirebbe qualcuno. Niente da fare, lui scandalizza.
Ha appena finito di dire che alcuni muovono scandalo su di lui, perché non è certo il prototipo di un "maestro di spirito" ascetico: "...è venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e dite: ecco un mangione e beone, amico dei pubblicani e dei peccatori".
Certo, può anche andare a mangiare da un fariseo, da un rigoroso osservante della legge, l'uomo della più pura ortodossia, ma non per questo nasconde o sottace la sua identità. E la sua identità crea scandalo. È il brano del racconto di Luca che oggi abbiamo ascoltato.
"Uno dei farisei gli domandava di mangiare con lui" - mangiava con i pubblicani e i peccatori, non poteva mangiare anche con lui? - e lui entra nella casa del fariseo, si adagia a tavola. Ma lì succede l'inverosimile, chi lo ferma uno così?
Mi è passata per la mente un'immagine. Anche noi invitiamo Gesù. Ogni domenica lo invitiamo a mangiare con noi. Ma siamo proprio così sicuri che il suo modo di fare e, ancor più, il suo modo di essere, non ci scandalizzi? Perché lui è uno che scandalizza. E scandalizza non gli atei, come spesso pensiamo noi, ma il fariseo, gli uomini della legge e dell'ortodossia. Almeno, questo dice il vangelo. Infatti che cosa succede?
Da un lato c'è Simone, ineccepibile nella sua cortesia - penso alla ineccepibilità di tante nostre liturgie: ti abbiamo invitato, il cerimoniale è osservato nei minimi particolari, non abbiamo cambiato una virgola. Tutto secondo regola. I baci non erano di rigore e neppure l'olio profumato. Non erano previsti dalla regola.
Dall'altro lato c'è questa donna, fuori regola. Fuori regola nel banchetto, ma già era una fuori regola nella vita: "Ed ecco una donna che era peccatrice nella città...". Una poco di buono. Invade lo spazio, così come il suo profumo invade la casa. Invade, tocca il corpo di Gesù, gli piange sui piedi, si scioglie i capelli, cosa sconveniente, per asciugarglieli, li profuma con il suo olio. "Ma dove siamo?" pensa il fariseo. "Ma se costui fosse profeta, saprebbe chi e quale donna sia colei che lo tocca, perché è una peccatrice". Suvvia, sembra dire, metti una distanza, qui siamo al limite della decenza. E questo è Gesù! Ce lo dimentichiamo, ma questo è. Scandalizza gli ortodossi. Mi è passata di striscio nella mente una domanda. Ma poi l'ho ributtata, forse mi faceva male, poi l'ho riaccolta, perché altrimenti mi sembrava di sfuggire al vangelo. Era questa. Noi, i suoi discepoli, i discepoli del rabbì di Nazaret, scandalizziamo per le cose per cui scandalizzava lui? O ci scandalizziamo per le cose per cui si scandalizzava Simone, il fariseo?
C'è un vizio in Simone, quello di aver diviso il mondo in buoni e cattivi e di aver prenotato il posto nel mondo dei cosiddetti buoni. Ma Gesù contesta questa bontà, così rigida, asettica, appiattita sulle regole, che ci fa pensare di essere a posto. Nessuno è a posto. E la prima cosa che facciamo, quando veniamo a questa cena, all'inizio della messa, è di dire che non siamo a posto. Come quella donna. Che siamo anche noi, come lei, gente di peccato. E bisognosi di perdono. Come lei, e magari anche più di lei, perché siamo freddi, gelidi. Pensiamo di non sbagliare per via di freddezza, di insensibilità.
Non so se ci avete pensato, ma Gesù, a difesa, a difesa di quella donna, dice una cosa che farebbe ancor oggi insorgere ogni buon moralista. A Simone, dopo avergli elencato puntualmente i gesti di tenerezza della donna, dice: "Grazie a ciò, ti dico, le sono stati perdonati i suoi molti peccati, perché ha amato molto". "Ma come? Ha amato molto?" direbbero i moralisti "ma i suoi erano amori sbagliati". Il rabbì di Nazaret scandalizza perché vede e sottolinea segni positivi. E là dove i ben pensanti denunciano sdegnosamente il male, lui scopre l'amore: "Ha molto amato". Scopre la fede: "La tua fede ti ha salvata". E noi? Dove li trovate oggi ambienti cristiani, giornali e riviste di ispirazione cristiana sospinti dalla stessa cura di Gesù, di scoprire segnali positivi là dove normalmente denunciamo il male?
Ma c'è un'altra modalità di Gesù che fa scandalo, solo l'accenno perché il discorso sarebbe lungo. Il brano di Luca oggi ci ha raccontato che, insieme ai discepoli, con Gesù c'erano delle donne. Cosa inaudita, improponibile per un rabbì, ai tempi di Gesù. E Luca, diremmo, dà nome e cognome a queste donne, che facevano parte del gruppo. Altro scandalo. Altro insegnamento per secoli cancellato o dimenticato. E ancora oggi in parte disatteso. Lui invece, il Signore, scandalizzava anche per questo. E diceva: "Beato è colui che non si scandalizza in me". E noi? Noi siamo beati? O ci scandalizziamo di lui?