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IL
PANE E' LIBERTA' E LA LIBERTA' E' PANE
Per una storia ragionata (e non aggiornata)del primo maggio.
Don Augusto Fontana
" Tutta la storia
del nostro paese, dall'800 in avanti, ma particolarmente negli ultimi 34-40
anni è la storia di una inadeguata soluzione data ai problemi del lavoro"(
S. Zaninelli, Ordinario di Storia economica dell'Università Cattolica di
Milano).Si può verificare la verità di questa denuncia ripercorrendo la
storia della festa del primo maggio e ricercando in essa le nostre radici,
il senso del nostro lavorare e militare oggi. Il primo maggio, dal 1886 ad
oggi, denuncia che la storia non la fanno solo i grandi personaggi, ma la
folla anonima e organizzata dei lavoratori che hanno regalato a noi, a
prezzo di morte e prigionia, brandelli di giustizia e spezzoni di vita
vivibile.
Le origini di questa giornata di lotta e di festa sono legate alle
rivendicazioni del 1886 negli Stati Uniti per la riduzione del tempo di
lavoro a 8 ore quotidiane. Sabato primo maggio 1886 i lavoratori di Chicago
chiedono, con uno sciopero e una manifestazione, la riduzione dell'orario di
lavoro. Albert R.Parsons e August Spies sono i maggiori protagonisti delle
agitazioni. Le lotte operaie continuano davanti alle fabbriche il lunedì
successivo. Ma in quella occasione la polizia spara alla cieca. Rimangono a
terra un morto e sette feriti.
La polizia sollecitata dalla stampa padronale, si affrettò a riempire le
carceri di "sospetti" e la macchina giudiziaria si dimostrò sollecita a dare
dimostrativa punizione ai sovversivi rinviando a giudizio otto persone. In
quattro mesi il processo tirò le sue conclusioni condannando
all'impiccagione Parsons, Spies, Fisher ed Engel che furono assassinati nel
carcere di Chicago l'11 novembre 1887.
Le dichiarazioni rese dagli imputati durante il processo furono altrettanti
atti di accusa contro il sistema di sfruttamento capitalistico e la
giustizia di classe che lo tutelava.
Parsons aprì la sua dichiarazione con questi versi:
"Spezza il tuo bisogno e la tua paura di essere schiavo. Il
pane è libertà e la libertà è pane".
Spies disse al giudice: "Se impiccandoci pensate di annientare il
movimento dei lavoratori, allora impiccateci. Qui calpesterete una
scintilla, ma là dietro e di fronte a voi, dovunque le fiamme divamperanno.
E' un fuoco sotterraneo, non potrete spegnerlo". Prima di essere
impiccato potè gridare: "Verrà un giorno in cui il
nostro silenzio sarà più potente delle nostre voci che sono state
strangolate".
Dopo sei anni la revisione del processo annullò la sentenza ma ormai il
sangue dei martiri di Chicago aveva incominciato a dare i suoi frutti. Il
Congresso Socialista internazionale riunito a Parigi nel 1889 decise che in
tutti i paesi si organizzasse per il primo maggio 189o una manifestazione
simultanea di tutti i lavoratori. Le manifestazioni che si svolsero in
Germania e Gran Bretagna furono le più importanti per la presenza di un
proletariato forte e organizzato. In Italia il filosofo marxista Antonio
Labriola fu il promotore e instancabile organizzatore di questa prima
manifestazione.
Ovunque però la polizia, i governi e la stampa padronale vissero come
minaccia e pericolo pubblico questa improvvisa impennata del proletariato.
Arresti, scontri, bombe e feriti furono i primi segnali di una reazione che
andò crescendo negli anni, ma anche i sintomi di una lunga gestazione e di
una dolorosa nascita dell'organizzazione di classe del proletariato
mondiale.
La manifestazione del primo maggio prevista inizialmente solo per il 1890 fu
resa permanente dal secondo Congresso dell'Internazionale socialista riunita
a Bruxelles nel 1891 con questa motivazione: "Festa
dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale devono manifestare la comunanza
delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà".
DIRITTI SOCIALI.
Rileggendo volantini, manifesti e stampa ritroviamo anzitutto le grandi e
tradizionali rivendicazioni operaie.
Engels scriveva: " I lavoratori scendano in piazza con ordine e disciplina
per chiedere che le ore di lavoro siano ridotte se necessario anche al di
sotto delle 8 ore in modo che ci sia lavoro per tutti".
Il Partito operaio ungherese scriveva: "Con la giornata di 8 ore le vostre
forze saranno risparmiate...Avrete 8 ore per il sonno e 8 ore per istruirvi,
svilupparvi e godere della vita; i cervelli diventeranno politicamente più
capaci e indipendenti...l'operaio cessa di essere semplice strumento di
lavoro per cominciare a diventare uomo".
Nel 1910 viene chiesta l'introduzione della PENSIONE DI VECCHIAIA.
Nel 1920 i lavoratori sono invitati a "crearsi gli organi adatti per
la gestione dell'azienda e per il controllo della produzione".
Nel 1945 si lotta "per arrivare ad un adeguamento dei salari al costo
reale della vita ed eliminare la piaga del mercato nero".
Nel 1955 il Primo maggio assume un carattere di prima giornata di
manifestazione "per la difesa dei diritti democratici dei lavoratori nelle
aziende...senza i quali tutte le conquiste sindacali possono essere
annientate". Poi si chiedono:"collocamento imparziale...pensione
sufficiente...estensione della Previdenza sociale ai lavoratori agricoli".
Nel 1957 si chiede "una più equa ripartizione dei redditi aziendali".
Nel 1963 si lotta per una "parità salariale per giovani e donne, per
una ulteriore riduzione dell'orario di lavoro,per una difesa delle libertà
sindacali...per una casa intesa come modo di vivere civile, per un
addestramento professionale,per una programmazione economica e un
decentramento amministrativo e politico delle strutture dello Stato".
Nel 1969 il centro delle rivendicazioni consiste nella "difesa della
salute, riforma della sanità e trasformazione della scuola".
LA
PACE
Alla vigilia della prima guerra mondiale inizia una serie di motivazioni con
cui i lavoratori legano la festa del primo maggio alla pace e al disarmo
come elementi indispensabili di un "rinnovamento economico e civile" e di
una "fraternità universale". A Milano nel 1898 già si diceva : "il paese
manca di lavoro perchè il militarismo, a servizio di alleanze cui il popolo
è estraneo, prosciuga tutte le fonti di produzione". Ma soprattutto nel 1915
i lavoratori manifestano per conseguire una pace durevole nel rispetto delle
nazionalità chiedendo "un arbitrato internazionale e la soppressione degli
armamenti". Dal 1935 al 1939 il primo maggio diventa il tentativo di creare
"un grande fronte mondiale della pace". Ma anche a guerra finita negli anni
1955, 1957,1963 i lavoratori manifestano per la distruzione delle
armi atomiche, la cessazione immediata degli esperimenti termo-nucleari.
ANTIFASCISMO
Alla vigilia del primo maggio 1919 si registra, con 4 morti e 35 feriti, la
prima impresa squadristica del nuovo movimento creato da Mussolini. Con il
primo maggio di quell'anno inizia una lunga serie di celebrazioni e lotte
antifasciste ancora oggi così urgenti. Forse mai come durante il ventennio
fascista, la festa del lavoro in Italia assume il suo autentico significato
politico oltre che rivendicativo. Dal 1927 il primo maggio,celebrato
nella clandestinità a causa del Codice Rocco, rappresenta un punto di
riferimento per tutte le forze democratiche, socialiste e cattoliche per
ritrovare l'unità di lotta.
SOLIDARIETA'
INTERNAZIONALE
La festa del lavoro fu spesso occasione di coscientizzazione sui grandi
movimenti internazionali e motivo di solidarietà con i popoli oppressi e le
loro lotte. Nel 1957 i lavoratori " esprimono la loro piena
solidarietà al il popolo giordano, al popolo algerino e a tutti i popoli
oppressi dal colonialismo".
Nel 1963 si denunciava il neo-colonialismo e nel 1969 i lavoratori
"chiedono la fine dell'aggressione contro l'eroico popolo del Vietnam, la
lotta ai regimi fascisti di Spagna, Grecia e Portogallo, lo spegnimento dei
focolai di guerra nel Medio Oriente ed il rispetto della sovranità nazionale
di ogni paese".
Nel 1974 la festa del lavoro è quasi giornata di lutto perchè il
popolo cileno non può celebrare il suo primo maggio. Lenin stesso aveva
scritto "Abbasso l'inimicizia tra gli operai di nazionalità e religioni
diverse...L'ebreo e il cristiano...il polacco e il russo... tutti gli operai
sono fratelli e la loro salda unità è la sola garanzia del benessere e della
felicità".
CHIESA
E PRIMO MAGGIO
La Chiesa del popolo è stata spesso in piazza con lavoratori di fede
politica diversa e ha dato il suo contributo di sangue e di persecuzione.
Invece i pastori delle comunità seguirono il comune sospetto di chi, fin dal
1890, considerava la festa del primo maggio come un peccato contro lo
Spirito Santo a causa delle sue origini marxiste. La pubblicazione della
"Rerum Novarum" di Leone XIII (15/5/1891) è in un certo senso collegata al
primo maggio.
La fondazione della Seconda Internazionale del 1889, il successo della festa
del primo maggio 1890, il distacco della classe operaia dal magistero della
Chiesa per aderire agli ideali del socialismo, avevano allarmato la
gerarchia ecclesiastica. La questione operaia viene dichiarata "difficile e
pericolosa"; la soluzione socialista viene condannata perchè sovvertitrice
dell'ordine sociale, lo sciopero è condannato come "sconcio grave" perchè
risulta impossibile togliere dal mondo le disparità sociali.
Tuttavia vengono fatti propri i motivi della campagna per la riduzione
dell'orario di lavoro. L'Enciclica dà un impulso positivo per promuovere
l'organizzazione del movimento operaio cattolico, ma per sottrarlo
all'influsso socialista, crea germi di divisione.
Nel 1908 il primo maggio non è più solo festa socialista e viene celebrato
in molte località anche da lavoratori cattolici che hanno creato
organizzazioni sindacali combattive. La manifestazione più importante è
quella che si svolge a Soresina e tra gli oratori sono presenti 3 preti: Don
Sturzo, Don Fino e Don Dubini. Il parroco Don Olzi alla fine benedice i
manifestanti augurando "avanti con serenità!". Nel 1948 Papa Pacelli prende
apertamente posizione a favore della NATO come difesa "contro le trame del
nemico infernale il cui programma è odiare Dio e rovinare l'uomo" sostenendo
che è in atto " una congiura contro il Signore da parte della contagiosa
pestilenza dell'ateismo". Queste dichiarazioni sono la premessa per la
dolorosa scomunica dei comunisti nel 1949. Nel 1955 in coincidenza con il
primo maggio si concentrano centomila lavoratori cattolici che ricevono la
benedizione del Papa il quale dedica il primo maggio a S. Giuseppe
falegname, trasformando il primo maggio in festa del lavoro cristiano.
Un articolo del "Popolo", organo della DC, in data 1/5/45 può rappresentare
il tentativo di recuperare una sintesi tra la sensibilità del mondo
cattolico e il lungo cammino socialista del primo maggio: "La nostra è stata
una lotta perchè non venisse perduta la dignità di persona e il nostro
lavoro non si riducesse ad una pena funesta...La festa del primo maggio i
lavoratori la celebrano uniti perchè la loro fatica li rende fratelli e li
spinge ad un reciproco contributo di fiducia e conoscenza...E' una festa del
lavoro come festa dell'uomo in quanto il lavoro rappresenta l'essenziale
dignità della persona, il naturale strumento perchè dia prova della sua
volontà e della sua intelligenza. Sulla scala dei doveri il lavoro occupa il
ruolo più alto, ruolo che si traduce addirittura in diritto. Simile festa
assurge ad una commemorazione di solidarietà. L'uomo nel lavoro non può
palesarsi come rinchiuso in se stesso, ma come persona che ha costante
bisogno degli altri, di conoscere coloro che gli vivono a fianco, di attuare
una difesa in comune ed unirsi nell'eperare e nell'organizzarsi. Pertanto la
festa del primo maggio a noi sembra che sia proprio la festa di questo
lavoro organizzato...vivente espressione dell'uomo e della sua incessante
vocazione di giustizia ".
Spetterà alla Enciclica "Mater et Magistra" di Giovanni XXIII (1961),
alla "Populorum progressio" di Paolo VI (1967) e alla "Laborem
exercens" di Giovanni Paolo II far maturare in pienezza la posizione del
mondo cattolico di fronte ai problemi internazionali del lavoro. La recente
Enciclica del Papa, il ravvicinamento tra l'Episcopato italiano e ACLI, la
solidarietà di molti vescovi ai lavoratori di fabbriche in crisi, il dialogo
stretto tra vescovi e preti operai francesi possono essere alcuni segni di
una rinnovata volontà di comunione con i lavoratori.
IL PRIMO MAGGIO DI
OGGI
E' utile riascoltare quanto diceva Engels nel 1890: "I pochi diritti che
abbiamo li abbiamo ottenuti grazie al coraggio e non alla vigliaccheria dei
nostri padri. Anche noi abbiamo un dovere da compiere verso i nostri figli".
Oggi, come si diceva nell'appello del 1948 si tratta di "combattere ancora
affinchè le libertà politiche assicurate da un regime democratico siano
completate e rese effettive dalla totale liberazione del lavoro da ogni
sfruttamento di classe".
" Ogni primo maggio- come disse Di Vittorio nel 1957 - acquista il carattere
vivente che gli conferiscono l'evoluzione della situazione nazionale ed
internazionale". Il primo maggio ha rischiato sempre di rivelarsi
celebrazione vacanziera non degna del coraggio "dei nostri padri". G. Sotgiu
nel 1917 se la prendeva con chi del primo maggio faceva "una corsa affannosa
dalla casa alla bettola, da una piazza ad un caffè...Questi lavoratori che
preferiscono la bettola alla riunione per la loro emancipazione, dimostrano
quasi di essere degni dell'attuale sfruttamento capitalista".
I problemi che stiamo per elencare dimostrano che non sia ancora tempo di
"andare in vacanza" ma di ritrovare una rinnovata mobilitazione ed
incisività per continuare la fedeltà al passato storico del primo maggio
rinnovandone il suo contenuto adeguato ai nuovi compiti storici che ci
attendono.
In questi ultimi anni i sindacati hanno inoltrato richieste a livello
internazionale per "un cambiamento e una inversione di politica economica
globale". La segreteria della Federazione CGIL, CISL e UIL ha espresso nel
1979 un giudizio positivo sulle conclusioni del Congresso di Monaco della
Confederazione Europea del Sindacato. Si è aperta infatti, di fronte ai
caratteri assunti dalla crisi economica, una fase nuova del sindacalismo
europeo. Questa fase è contassegnata dalla consapevolezza che , per bloccare
e respingere il tentativo padronale di intaccare e ridimensionare il potere
e il ruolo della classe operaia e del sindacato, occorre, nei singoli paesi
e a livello europeo, avanzare obiettivi di modifica profonda delle strutture
economiche e sociali e sostenerli con l'azione e la lotta crescente dei
lavoratori.
Nel 1981 si sono riuniti ad Ottawa in Canada i big dei 7 paesi più
industrializzati del mondo capitalistico (USA, Giappone, Canada, Italia,
Francia, Germania Fed., Gran Bretagna). In coincidenza anche i sindacati di
questi paesi si sono trovati per presentare le loro rivendicazioni:
1-Le politiche
antinflazionaistiche non possono e non debbono contraddire l'obiettivo
prioritario del mondo del lavoro che è quello del AUMENTO DELL'OCCUPAZIONE.
2-La richiesta ai
paesi industrializzati di aprirsi finalmente alla grande prospettiva
dell'instaurazione di un NUOVO ORDINE ECONOMICO INTERNAZIONALE.
La conferenza
dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) tenuta nel 1981 a
Ginevra, si è chiusa con alcune risoluzioni di grande rilevanza politica:
continuare ad affrontare la crisi economica come un semplice problema di
redistribuzione del reddito fra salari e profitti all'interno dell'area
industrializzata significherebbe mettersi in una situazione pericolosa.
Significherebbe AGGRAVARE DELIBERATAMENTE IL CONFLITTO SOCIALE INTERNO nel
tentativo di imporre una subordinazione della classe operaia e AGGRAVARE IL
CONFLITTO CON I PAESI IN VIA DI SVILUPPO nel tentativo di condannare questi
paesi ad una nuova dipendenza. L'alternativa è data dalla costruzione di un
nuovo ordine internazionale, attraverso la TRASFORMAZIONE DELLE STRUTTURE
CHE CONTROLLANO I RAPPORTI ECONOMICI E FINANZIARI INTERNAZIONALI, al fine di
realizzare una crescita più rapida e soprattutto una distribuzione più equa
delle forze produttive nel mondo. Vanno in questo senso la Conferenza
Sindacale Mondiale sullo Sviluppo tenuta a Belgrado e le iniziative legate
al Rapporto Brandt a cominciare dalla Conferenza di Cancun. La questio della
libertà sindacale riproposta dagli eventi polacchi è stata al centro della
Conferenza. I dirigenti sindacali in esilio, da quelli dell'Uruguay a quelli
turchi, hanno ricordato la repressione in atto nei loro paesi. In
particolare la Conferenza si è occupata dell'Africa del Sud e della
Palestina. Il Consiglio di amministrazione è stato invitato ad aumentare
l'attività formativa e l'assistenza tecnica ai Movimenti di liberazione, ai
lavoratori neri e ai loro sindacati indipendenti dell'Africa del Sud. SI
PREVEDE L'ISTITUZIONE DI UN FONDO DI SOLIDARIETA' alimentato dai contributi
volontari, ma regolari degli Stati membri e delle Organizzazioni sindacali e
imprenditoriali.
Tutto questo sembra un'utopia. Ad un capitalismo cher, oggi più che mai, non
è provinciale ma internazionale, si deve contrapporre una CLASSE OPERAIA
INTERNAZIONALE CHE NON RAGIONI PIU' IN TERMINI DI RIVENDICAZIONI CORPORATIVE
NAZIONALI,MA DIVENTI SOGGETTO STORICO DI GRANDI MUTAMENTI INTERNAZIONALI.
Forse il sindacato si trova di fronte ad un compito storico che in parte è
fedele agli impegnie lotte del passato e in parte deve essere creatore ed
inventore di nuove forme di controinformazione e coscientizzazione presso la
base operaia.
Il primo passo da fare oggi è, forse, uscire dal nostro razzismo.
NAZIONALISMO
E NEO-RAZZISMO
"Auslander raus" ("Straniero fuori!).
La scritta si
distendeva su un muro di Essen in Germania. Il pennello razzista si
ripeteva in Svezia, Olanda, Belgio, Francia, Svizzera. In questi paesi
sembra che il nemico da battere non sia più il modello di sviluppo inceppato
o la logica del profitto, ma la massa degli stranieri che, tra l'altro,
hanno arricchito il paese ospite facendo lavori che nessun nazionale vuole
più fare e contribuendo, con i loro salari da fame, a tenere basso il costo
del lavoro.
E pensare che, come dichiare il Prof. Castro Almeida dirigente dell'Ufficio
Internazionale del Lavoro "la presenza di questi
giovani giovani in Europa è anche una ricchezza morale e culturale. Essi
possono anche diventare il ponte per un autentico concreto dialogo fra Sud e
Nord dell'Europa e del mondo".
Noi italiani siamo vittime e carnefici di questo razzismo delle coscienze e
del mercato del lavoro. Protestiamo quando ci dichiarano di essere ospiti
indesiderati e poi facciamo pagare agli stranieri che vivono con noi gli
stessi alti costi di sfruttamento e di espulsione.
I sindacati italiani nel 76-78 hanno posto il problema del
trattamento e difesa dei 600-700 mila lavoratori stranieri in Italia. Il
raket padronale di manodopera straniera va di pari passo con una repressione
poliziesca governativa e con una indifferenza o palese razzismo da parte di
settori della base operaia non coscientizzata. Il sindacato propone invece
alcuni obiettivi positivi:
1- Portare a termine
l'indagine sulle dimensioni e i problemi di questi lavoratori.
2- Proporre una legge per la parità di trattamento.
3- Concludere accordi bilaterali con i paesi di provenienza per una
collaborazione economica e commerciale.
4- Intensificare la difesa sindacale degli immigrati stranieri in Italia
organizzandoli nelle strutture sindacali della Federazione Unitaria.
5- Sviluppare la collaborazione delle regioni per controllare a livello
locale il mercato del lavoro e tutelare e soddisfare le esigenze economiche,
culturali e sociali di questi lavoratori.
Anche la Chiesa
italiana si è mossa su questo settore. Mons. Manfredini, Vescovo di Piacenza
ha dichiarato: "C'è un terzo mondo a casa nostra del quale non ci
accorgiamo". E' un "popolo sommerso" fatto di braccianti negli agrumeti di
Trapani, camionisti nell'Alto Adige, pescatori di Mazara del Vallo,
raccoglitori di cocomere a Latina, lavoratori nelle fonderie e nelle
ceramiche emiliane, lavapiatti nelle riviere e domestiche nelle grandi
città. Sempre ultimi nelle liste di collocamento, in difficoltà per reperire
alloggi e vittime di affittacamere abusivi con condizioni igieniche
proibitive, celibi al 73% dei casi.
Ma noi italiani non brilliamo solo per questo razzismo legalizzato da una
legge del periodo fascista ed avvallato da una sottocultura popolare; siamo
anche un paese sfruttatore.
In un documento distribuito a S. Paulo del Brasile durante una visita del
Papa, gli operai della FIAT denunciano la multinazionale Fiat Italiana per
lo sfruttamento salariale e la repressione. L'operaio è pagato 4-5 volte
meno che in Italia nonostante che il ritmo di lavoro e la produttività sia
una volta e mezzo superiore a quella dell'operaio italiano con 48 ore
settimanali di lavoro più gli strordinari. Il posto di lavoro è insalubre e
ogni reclamo merita il licenziamento. Le fondamentali libertà di
associazione sindacale sono represse con licenziamento in occasione di
sciopero, con liste nere degli attivsti, con interventi militari durante le
rivendicazioni e con agenti segreti e infiltrati. Contro questa esportazione
italiana dello sfruttamento poco si è fatto.
Alberto Tridente, dell'Ufficio Internazionale FLM dichiara che "non abbiamo
nè iniziative nè un serio lavoro preliminare che possano farci pensare ad
eventuali risultati almeno nel medio periodo". Neppure i sindacati
britannici, tedeschi e francesi sono mai riusciti ad organizzare un'azione
stabile con i compagni esteri. In Italia si è cercato di far entrare un
coordinamento di questo tipo nella piattaforma del 1977 ma è stato il primo
punto ad essere cancellato durante le trattative con il padronato.
CRISI
DEL LAVORO
Nella più pura tradizione della storia del primo maggio il grande
internazionalismo operaio non contraddice una mobilitazione e un'analisi sui
gravi problemi del mercato del lavoro interni al nostro paese.
Che cosa sta succedendo nella società italiana?
Innanzitutto dobbiamo riconoscere che dalla seconda metà degli anni 70 si
sono accentuati importanti mutamenti nella composizione delle classi sociali
e " l'operaio massa" ha perso terreno nel suo ruolo di soggetto storico
trainante del cambiamento.
Il sindacato e tutti i militanti attenti alle strategie economiche, sociali
e di lotta, oggi devono fare i conti con questa nuova realtà. In particolare
si notano queste nuove tendenze:
1-
Lo sviluppo dell'informatica avvia profonde modifiche nella
forza-lavoro con la crescita degli impiegati rispetto agli operai.Il
terziario occuperà presto l'85% delle forze lavorative.
2- Nel terziario crescono mille professioni
e specializzazioni
che faranno venir meno il concetto puro di "classe" e di egualitarismo (uno
degli obiettivi più unificanti del sindacato anni 70).
3- Cresce l'occupazione nelle fabbriche a dimensioni minori.
4- Il tessuto unitario costruito dal sindacato si lacera in corporativismi.I
Consigli di fabbrica non hanno più la capacità di rappresentare
effettivamente tutti i lavoratori della fabbrica.La democrazia interna al
sindacato è un problema irrisolto, nonostante i tentativi di esportare in
periferia programmi e decisioni dopo la diminuita autonomia dai partiti.
5-
I "cassa-integrati" sono ormai un esercito facilmente manovrabile
dalla crisi e difficilmente inquadrabile in una delle classiche liste di
soggetti storici.
6- La manodopera femminile è una variabile di comodo
della crisi e ad essa è affidato il ruolo di volano per assorbire accelerate
o frenate del mercato-lavoro.
7-
Cresce il divario nel rapporto tra forza-lavoro attiva e pensionati
per cui tra breve una esigua popolazione attiva dovrà pagare alti costi per
la sopravvivenza dignitosa dei suoi anziani.
La crisi del
sindacato negli anni '50 lo portò a trasformazioni rivendicative ma
soprattutto culturali di grande portata. Oggi la cultura sindacale è
attrezzata per affrontare questi nuovi mutamenti e crisi?
Come si concilieranno le due anime del sindacato rappresentante della
"cultura di lotta" e della "cultura della compatibilità"? Come non isolare e
non abbandonare il nucleo più combattivo della classe operaia (che ancora ci
ricorda l'efficace riuscita del "sindacato dei Consigli") chiudendolo dentro
forme sterili di massimalismo ed estremismo? Come ricucire la lacerazione
tra sindacato e operai, spia di un distacco più generale tra i vertici
politici e base operaia?
C'è però un altro elemento da considerare. Il lavoro oggi entra in crisi non
solo per la disoccupazione e la cassa integrazione, ma è in crisi il
concetto stesso di lavoro e professionalità. Il 1° Congresso del MEIC
(Movimento ecclesiale di impegno culturale) celebrato a Roma nel gennaio 82,
aveva come slogan "Professionalità e lavoro.Quale senso? Quale progetto?".
Le domande sono giustificate da un diffuso senso di malessere anche di
quelli che il lavoro ce l'hanno. La nostra società "fondata sul lavoro"
traballa non solo per crisi rigidamente economiche, ma anche etiche. Non
è la fatica del lavoro che fa paura ma l'alienazione e la coercizione per
cui il lavoratore si sente parte di un ingranaggio e non un responsabile.
C'è l'espulsione dell'intelligenza dal lavoro. Il "tempo libero" è il tempo
diverso dal lavoro che è considerato "tempo coatto". Tempo di lavoro e tempo
di vita sono in opposizione.
Il compito dei cristiani è importante sia per frenare la tentazione del
prometeismo
(così frequentemente condannato dalla Bibbia)
sia per favorire la solidarietà e anche il "sabato" cioè la festa come
spazio di libertà, di affetti, di cultura e di preghiera.
"DE PROFUNDIS" ?
Di fronte agli attacchi del capitalismo internazionale e del neoliberismo
che rosicchia i grandi risultati del passato operaio e di fronte alla
massiccia repressione del movimento operaio organizzato, c'è chi non crede
più efficace , come ha detto il Presidente Spadolini, le "liturgie di massa"
e neppure gli operai ci credono. Ma questo non significa che i lavoratori
non possano avere più mordente nell'incidere sull'economia mondiale e sui
rapporti politici tra paesi. Chi sta recitando il De profundis sulle lotte
operaie non potrà partecipare al nostro funerale. Noi abbiamo la forza e la
pazienza di ricominciare da capo fedeli ai nostri compagni del passato e
carichi di nuove responsabilità verso il futuro affinché il pane sia libertà
e la libertà sia pane.
Articolo per il mensile MISSIONE OGGI - maggio 1982
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