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CHIESA IN
CLASSE OPERAIA
Padre,
in questo periodo di ferie ho più tempo per raccogliere alcune
riflessioni sulla mia vita di uomo, cristiano, prete, prete-operaio.
Così ho deciso di continuare il nostro dialogo anche per iscritto(omissis).
1- Nel mio colloquio con Lei ho
tracciato quella che io chiamo la "lunga genesi" del mio essere
prete-operaio. Il punto di partenza che ha dato una svolta alla mia
collocazione nel servizio ecclesiale è chiaramente di matrice
"missionaria". L'aver portato dentro di me per lunghi anni questo
segreto, l'averlo perseguito con testardaggine, l'aver vissuto per 4
anni in ambiente formativo missionario mi ha segnato indelebilmente
preparandomi ad un futuro di vita "esposta" e "proiettata ai confini"
abituandomi a pensarmi presente in spazi umani dove si deve ancora
seminare, dove si è minoranza, dove l'annuncio della carità precede
quello della fede, dove l'incontro con le culture laiche e altre
religioni richiede tolleranza, dove la condivisione della povertà
cancella il clericalismo, dove lontane sono le furbizie delle alleanze
col potere, dove diaspora-croce-obbedienza-liberazione-peccato sono un
fatto prima che una teologia. 2- In questi anni (Croce Rossa,Parmasole,Edilbox) ho sentito con sofferenza un ritornello : "Tu sì, ma gli altri...". In questa frase, ripetuta a me e a tutti i preti operai da centinaia di compagni di lavoro, sta una chiave preziosa di sapienza pastorale. Noi soli, senza una Chiesa con noi, rischiamo di diventare un pò troppo profeti o un pò troppo "show mans". Di fatto la storia dei preti operai francesi e italiani ha avuto 2 fasi: diffidenza - indifferenza. La diffidenza (diventata in certi casi ostracismo) sorse quando le osmosi culturali erano più effervescenti e si temeva che il fenomeno, accorpato con altri movimenti di dissenso, avesse potuto inquinare l'immacolata coltre bianca che copriva e proteggeva le cristianità pre-conciliari. L'indifferenza, che serpeggia oggi nonostante significativi ma limitati cenni di disgelo, nacque parallela alla generale sgasata e al grande ritorno a casa dopo il cessato allarme. Novecento preti operai in Francia e trecento in Italia, cosa sono di fronte alle masse che si raccolgono nei pellegrinaggi e attorno al Papa o di fronte al moltiplicarsi di obbedienti collaboratori laici? Diventati innocui e rimasti pochi, siamo stati colpiti dal più amaro degli anatemi: il lasciarci fare finchè morte non giunga. Oggi siamo considerati un binario morto non più percorribile.
Se la Chiesa giudica il valore dei
movimenti dal numero degli iscritti o dei proseliti ritorniamo alla
vecchia teologia ebraica del numero dei figli come segno di benedizione
di Jahvè. Ma dove mettiamo allora le sante e poche donne sterili o
vergini e il santo Giobbe nel letame? Sì, è vero, siamo stati causa di
preoccupazione e di sofferenza, ma avevamo e abbiamo dentro un segreto
che fino a ieri abbiamo gridato sui tetti e che oggi abbiamo
incominciato a sussurrare se non addirittura a consumare nel silenzio.
Lasciandoci nell'isolamento, la nostra efficacia ricade su di noi e
moriremo stimati ed amati solo dai compagni di lavoro, quella piccola
parrocchia di 10 anime con cui abbiamo fatto Chiesa per tanti e sepolti
anni. Ritengo indilazionabile ridare vita ad ACLI e GIOVENTU' ACLISTA con un delicato ma deciso recupero di una Segreteria giovane che diffonda a Parma la conoscenza delle linee direttrici della presidenza e segreteria nazionale, che crei in ogni parrocchia dei gruppi di formazione per operai e apprendisti e che sappia, in seguito, dare apporti positivi e originali al movimento aclista nazionale.
Ritengo necessario acculturare il
clero su problemi del mondo del lavoro, sia per una cultura laica
remotamente sempre necessaria sia per un aggiornamento sui rapporti tra
etica e lavoro ( evasione fiscale, lavoro straordinario, riduzione
dell'orario, part-time, tempo libero, doppio lavoro, lavoro femminile,
protezione infortuni e salute, lavoro garantito e non garantito,
gestione del salario, obiezione fiscale: sono solo esempi dove le
vecchie virtù evangeliche e i vecchi peccati si mascherano sotto nomi
nuovi ma per i quali occorrono urgenti aggiornamenti per la predicazione
e le confessioni). A Parma si vive in un ambiente piccolo-borghese, ma marcatamente segnato da una subdola conflittualità ideologico-politica. La Resistenza e le elezioni del '48 hanno lasciato un'impronta di fierezza, di solidarietà, ma anche di dolorose fratture tra "social-comunisti" da una parte e "cattolici" dall'altra. Il mondo politico cattolico ha dato alla società parmense ed italiana ed anche alla Chiesa, uomin illustri e stimati, tuttavia serpeggia una memoria storica di reciproca scomunica: la democratica lotta tra partiti è diventata impermeabilità reciproca tra credenti militanti nel partito cattolico e credenti o non credenti militanti nelle aree di sinistra. Io credo che la "scelta religiosa" fatta dall'Azione Cattolica nazionale e dalle ACLI nazionali sia un tentativo di scorporare la Chiesa dalla conflittualità dei partiti. Molti laici validi e pieni di fede sono diventati consiglieri, responsabili, uomini-chiave della Pastorale e della Chiesa parmense, ma sono troppo individuabili nella militanza DC. La Chiesa così rischia di identificarsi con essa.
"VITA NUOVA", ad esempio, a volte
rischia di essere più un organo di partito(di una corrente del partito)
che un giornale della Chiesa locale e spesso ho sentito compagni e
compagne, amici e fratelli lamentarsi per le continue ed eccessive
critiche alle scelte delle Amministrazioni locali ed ai suoi uomini. E'
necessario essere profeti di Dio e quindi saper cogliere il male, sì, ma
anche il bene e seguire l'impulso dello Spirito che cura ciò che è
ferito, che chiarisce ciò che è torbido, che vitalizza ciò che
languisce; ma soprattutto sarebbe bene che il nostro Settimanale fosse
uno spazio di dibattito più libero per "guardare dentro la Chiesa"
senza, d'altra parte, fare dell'ecclesiocentrismo. |