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Con il
progetto Sicomoro
detenuti e familiari delle vittime
uniti nel nome della «giustizia riparativa»
(notizia
da IL SOLE 24 ORE -12 febbraio 2011)
Nell’ormai lontano 2004 La Caritas
italiana aveva pubblicato “LIBERARE LA PENA”, un’articolata riflessione e
proposta su giustizia, pene e carcere. Fra le innovative proposte c’era
anche quella di introdurre una forma di “giustizia riparativa” che desse la
possibilità a chi aveva commesso reati di incontrare le vittime o i loro
familiari per un percorso comune di riparazione dei danni umani provocati e
subiti, pur nell’ambito delle attuali vigenti norme previste dai codici e
attuate dai tribunali.
Le idee talvolta hanno gambe. Così è stato
nel Carcere di Opera alle porte di Milano.
L’11 febbraio 2011 nel teatro interno al
carcere sono stati presentati i risultati del primo ciclo italiano del
"Progetto Sicomoro", avviato dall'organizzazione internazionale Prison
Fellowship. L'incontro è stato aperto dal direttore del carcere di
Opera, Giacinto Siciliano, che per primo ha creduto nel Progetto Sicomoro,
iniziato lo scorso anno.
Questa iniziativa, che si ispira appunto al concetto di "giustizia
riparativa", deve il suo nome all'episodio evangelico di Zaccheo che sale
sull’albero di Sicomoro e da quell’albero parte il suo cammino di
riparazione e riabilitazione, preso per mano da Gesù. Il riferimento
cristiano non è casuale, visto che l'importazione in Italia è connessa
all'attività del movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito Santo. Ciò
non impedisce che partecipino al progetto persone con differenti posizioni
religiose: uno dei detenuti ha affermato la sua fede buddista, un altro la
sua vicinanza agli Hare Krishna.
Nella conferenza si è tentato un consuntivo della prima realizzazione del
Progetto Sicomoro con la testimonianza di alcuni dei sei familiari di
vittime di omicidio che hanno accolto la proposta di Prison Fellowship
Italia e di tutti i sette detenuti (sei dei quali condannati all'ergastolo)
che nei mesi scorsi hanno partecipato all'iniziativa. L’iniziativa sta per
essere replicata nel penitenziario napoletano di Poggioreale, poi nel
carcere di Rieti e in seguito all'Ucciardone di Palermo.
Il Progetto Sicomoro avviato a Opera si è sviluppato in un ciclo di incontri
faccia a faccia tra chi si confronta con il dolore connesso alla perdita
violenta di un padre, di un figlio o di un fratello, e chi invece, in un
percorso di ravvedimento in carcere, si confronta con il dolore inferto ai
parenti delle proprie vittime. Questo è lo spirito dell’iniziativa: gruppi
di persone che dialogano e si confrontano all'interno del carcere per capire
la vita, le azioni, e le motivazioni degli uni e degli altri.
Al di là delle intenzioni, tali faccia a faccia collettivi – che, va
precisato, non comportano alcun premio o sconto futuro ai carcerati che vi
aderiscono e che sono autorizzati dalle autorità del carcere a partecipare –
sono stati piuttosto ruvidi, specie nelle loro battute iniziali. Si tratta
di un percorso a ostacoli. Ma, secondo quanto hanno raccontato i
protagonisti, questi ostacoli si sono abbassati, mano a mano che si sono
moltiplicati gli incontri tra detenuti e vittime, incontri a cui si è
intrecciata anche una reciproca corrispondenza epistolare, di cui sono stati
letti alcuni esempi.
Sia gli interventi dei sette detenuti sia quelli dei familiari delle
vittime, sono stati ad altissimo tasso emotivo. Voci rotte e occhi lucidi. I
sette detenuti, dopo molti anni passati negli spazi angusti del mondo
penitenziario e per nulla avvezzi a rivolgersi a una vasta platea, in cui
tra l'altro sedevano anche molti loro parenti, hanno parlato dal palco
circondati dalle loro controparti, i familiari delle vittime.
E il frutto della serie di incontri che li ha fatti reciprocamente
conoscere, era reso evidente dal continuo toccarsi di mani fra gli
appartenenti ai due diversi gruppi: pacche sulla spalla quando la commozione
tracimava e costringeva l'oratore di turno a interrompersi un attimo,
abbracci al momento di rompere le fila e di allontanarsi, chi verso casa,
chi invece verso la cella.
In questi mesi, e in attesa di ripetere l'esperimento altrove, sembra che
sia davvero franato qualche muro di sordo rancore e di impossibilità di
confronto. È ben difficile parlare di possibile "riparazione" in caso di
omicidio, come hanno ricordato i familiari di chi è stato ucciso. Ma accanto
ai tradizionali, e spesso disattesi, concetti di "giustizia retributiva" e
di "giustizia rieducativa", grazie alla buona riuscita del primo ciclo del
Progetto Sicomoro ha fatto un passetto in avanti quello di "giustizia
riparativa" che, come spiegano i promotori, coinvolge "attivamente vittima,
reo e comunità nella ricerca di soluzioni al conflitto generato da
comportamenti e azioni". L'obiettivo è contribuire a "sanare le ferite e
spezzare le catene che legano sia i prigionieri sia le vittime". "E a me
piacerebbe che queste cose arrivassero anche fuori dal carcere", ha concluso
il direttore di Opera, Siciliano. |